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Finanza fossile

Il 1° Aprile siamo scesi in strada in Italia, Europa e in tutto il mondo, per ricordare la responsabilità dei colossi della finanza nella tutela della Terra e della Vita. Istituti finanziari e fondi assicurativi continuano infatti ad investire nel settore fossile, permettendo di fatto la distruzione di ecosistemi e l’alterazione del clima del nostro Pianeta. Alla crisi ambientale si aggiungono i rischi di una devastante crisi economica: come ad ogni crisi, se la bolla del carbonio dovesse scoppiare, le conseguenze maggiori sarebbero a carico delle persone e delle comunità che già oggi sono più svantaggiate. Il piatto è servito, ma a noi rimane solo la lisca.

PERCHÉ SI PARLA DI FINANZA FOSSILE?

La responsabilità delle compagnie finanziarie nel sovvenzionare il caos climatico è ormai riconosciuta da molti: dai clienti, dagli azionisti, dagli enti regolatori e dal pubblico. La pressione sulle banche affinché riducano i finanziamenti al settore dei combustibili fossili sta crescendo, spinta dalla consapevolezza che gli effetti della crisi climatica sono ora visibili e influiscono sulla vita di milioni di persone.

L’ormai ridotto budget di carbonio del pianeta non lascia più spazio all’estrazione di combustibili fossili e tuttavia dal 2015, l’anno in cui sono stati firmati gli accordi di Parigi, gli investimenti delle banche in questo settore sono aumentati costantemente.

Totale finanziamenti ai carburanti fossili Totale finanziamenti ai carburanti fossili

Il sistema finanziario globale si basa sull’analisi di grandi quantità di dati sul rischio e sul ritorno degli investimenti. E niente pone un rischio più grande sui profitti delle singole compagnie e dei sistemi finanziari della crisi climatica. Per questo non sorprendono le parole di Larry Fink, CEO del fondo di investimento BlackRock, nella lettera agli investitori del 2021:

“È importante riconoscere che l’azzeramento delle emissioni richiede una totale trasformazione della società tutta. Gli scienziati concordano che per rispettare gli obiettivi degli Accordi di Parigi di contenere il riscaldamento globale “ben al di sotto dei 2 gradi sopra le medie del periodo preindustriale” entro il 2100, le emissioni antropiche devono ridursi dell’8 - 10% l’anno tra il 2020 e il 2050 per raggiungere lo “zero netto” intorno a metà secolo. La nostra economia è ancora altamente dipendente dai combustibili fossili, e questo è rispecchiato nella intensità di carbonio di indici come e S&P 500 o MSCI World, che delineano una traiettoria attuale di ampio superamento dei 3°C”.

IL GREENWASHING

Le banche iniziano a tenere conto dei rischi legati agli impatti del cambiamento climatico e alla transizione ecologica, ma un importante rischio associato alla crisi climatica è quello reputazionale. Le istituzioni finanziarie stanno realizzando che essere visti come direttamente responsabili della distruzione della vita sulla Terra non è ottimale per attrarre nuovi clienti e per assumere nuovo personale.

Aprendo le pagine web delle principali banche si è accolti da rassicuranti messaggi sull’attenzione all’ambiente e al clima, ma purtroppo le policy adottate risultano largamente insufficienti di fronte alle raccomandazioni della comunità scientifica mondiale. È importante notare che molte delle iniziative delle banche siano purtroppo "specchietti per allodole": un ente dichiara di essere "verde" in virtù dell'avere azzerato il proprio impatto ambientale, ma in questi casi spesso si parla dei consumi legati ad uffici e filiali bancarie, mentre il capitale finanziario viene investito in opere dannose per l'ambiente con una impronta vastamente maggiore di quella degli uffici.

Anche le banche con una forte policy sui combustibili fossili, secondo enti indipendenti come Rainforest Action Network, non raggiungono nemmeno la metà del possibile punteggio, dimostrando così che il settore bancario ha davvero ancora molto strada da fare per allinearsi con interventi significativi per la stabilità climatica.

I dati sul coinvolgimento del settore finanziario nella ricerca ed estrazione di combustibili fossili sono schiaccianti. Dal 2015, l’anno degli accordi di Parigi, in cui i governi del mondo si sono impegnati a non superare un aumento delle temperature medie di 2°C, le principali 35 banche del mondo hanno investito nel fossile 2.700 miliardi di dollari. Nell’ultimo anno, hanno aumentato del 34% i loro investimenti nella ricerca ed estrazione di petrolio e gas nell’Artico e del 134% nella ricerca ed estrazione di petrolio e gas offshore.

Il settore bancario continua a mantenere una posizione di grande irresponsabilità di fronte alla crisi climatica. Mentre il finanziamento del carbone si sta lentamente riducendo, questa riduzione è più che compensata dalla crescita degli investimenti nell’industria del petrolio e del gas.

Un crescente sdegno e la pressione del pubblico potrebbe rendere possibile il raggiungimento e superamento del picco del finanziamento del fossile, ma ciò che la scienza del clima esige non è solo un livellamento dei finanziamenti, o una lenta diminuzione, ma una riduzione rapida e sostenuta, che sia compatibile con uno scenario di 1,5°C.

Per ottenere questo risultato le banche devono essere più ambiziose e fare molto di più di quanto hanno finora dimostrato di voler fare.

Finanziamenti ai carburanti fossili Finanziamenti ai carburanti fossili

LA FINANZA FOSSILE IN ITALIA

In questo panorama globale anche la finanza italiana non fa seguire alle belle parole dei propri report e delle proprie campagne pubblicitaria la concretezza delle scelte di investimento. Infatti il settore finanziario rappresenta il terzo emettitore di CO2, in Italia.

Banche e istituzioni assicurative e finanziarie stanno contribuendo all'aggravarsi della crisi climatica ed ecologica. Attraverso le compagnie che finanziano generano un volume di gas serra simile a quello del settore energetico e superiore a quello dell’intero comparto industriale. In particolare, Unicredit e Intesa Sanpaolo sono i principali responsabili (80%) delle emissioni causate da banche ed investitori in Italia. Generali Assicurazioni (Trieste) oltre a investire nelle società fossili, fornisce anche coperture assicurative ai loro progetti, come nel caso delle centrali a carbone della polacca PGE e la Ceca CEZ, che stanno ostacolando attivamente la transizione energetica nel continente europeo. Intesa e Unicredit continuano a prestare miliardi a chi continua a realizzare nuove centrali e miniere a carbone, come la tedesca RWE e la finlandese Fortum.

Cambiare un sistema basato sull'energia derivata dai combustibili fossili, che sta portando il pianeta verso il collasso climatico e degli ecosistemi, è auspicabile anche da un punto di vista economico.

LA DUPLICE RESPONSABILITÀ DEL SETTORE FINANZIARIO

Secondo un’analisi del Financial Times, le banche e gli investitori che non ridurranno rapidamente la propria esposizione ai combustibili fossili rischiano di perdere fino a 900 miliardi di dollari. A detta della Banca d’Inghilterra, il valore degli investimenti a rischio potrebbe essere fino a venti volte superiore. È la cosiddetta “bolla del carbonio” il cui impatto sarebbe ben superiore a quella immobiliare che ha innestato la crisi finanziaria del 2008. Le compagnie più esposte sono quelle che, ancora oggi, investono in infrastrutture e ricerca di nuovi giacimenti. Intesa, continuando a finanziare il settore, non solo contribuisce a destabilizzare il clima, ma mette a rischio, in maniera irresponsabile e poco lungimirante, i propri investitori e indirettamente tutti i cittadini.

I dati a conferma del trend non mancano: l’industria del carbone americana ha perso circa il 90 per cento del proprio valore nell’ultimo decennio. Non va molto meglio alle major di petrolio e gas, il cui indice azionario ha dimezzato il proprio valore dal 2015 al 2019. È nel loro stesso interesse dirottare i soldi oggi investiti nel fossile in una nuova economia e società. Se queste istituzioni riorientassero il loro sostegno a favore della transizione energetica, potrebbero dare una spinta cruciale alla decarbonizzazione dell’economia.

Una spinta in questa direzione può arrivare dai clienti stessi delle banche attraverso la richiesta formale di disinvestire dal fossile e lo spostamento dei propri risparmi verso una banca più attenta, se la richiesta non dovesse essere accolta. Il movimento per il disinvestimento dal fossile utilizza proprio questa strategia, per combattere la crisi climatica. L'impatto finanziario non sembra essere rilevante, mentre molto forte è il danno di immagine e soprattutto il contributo che queste campagne hanno sullo spostamento del discorso pubblico verso una maggiore consapevolezza dei danni provocati dai combustibili fossili.

Non vogliamo che le istituzioni finanziarie usino i nostri soldi per finanziare il collasso climatico. Chiediamo che i finanziamenti al fossile siano azzerati entro il 2025.

Ci ribelliamo con rispetto e determinazione anche per voi.

UNISCITI ALLA RIBELLIONE

Il 1° Aprile è iniziata la Campagna di Ribellione 2021, un anno cruciale in termini di scelte politiche e finanziarie, con fortissime ricadute sociali e ambientali, che plasmeranno inevitabilmente il futuro. Vogliamo vivere e per questo non staremo ferme e fermi a guardare.

Come partecipare:


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